Cultura

VINI E CUCINA E’ TUTTA UN’ALTRA STORIA

La cucina napoletana tra storia e tradizione

Napoli, 12 aprile 2019

Sergio Angrisano

Per parlare seriamente di vini e cucina bisogna essere a tavola, perché non si può pensare al vino senza abbinarlo a quello che mangiamo. Questo, dicono gli avventori, è il vero senso del vino e , del buon cibo tradizionale, quello di una volta, quello che ormai nelle case moderne non se ne conosce neppure il profumo. A Napoli, sedersi a tavola non significa semplicemente mangiare; è un rito arcaico, dove la convivialità si unisce ai sapori, al profumo che dalla cucina si irradia in tutto l’ambiente. Emozioni che in questo tempo, si possono provare e.. assaporare solo se entri in una dei pochi  “Vini e Cucina”, luoghi magici, che sopravvivono al tempo.

Probabilmente sto invecchiando, ma può darsi che sia divenuto semplicemente più maturo e più legato ai moduli di vita di un tempo. Anzi, dirò di più, alla civiltà di un tempo. Perché proprio di civiltà si tratta, di quella della mia gente e della mia terra, aperta da decenni a tutte le manomissioni e devastazioni. Non sono un esaltatore acritico del passato, per carità! Ma lasciatemi dire che nel nostro passato napoletano c’era e c’è ancora molto di buono, di umano, di civile convivenza. Quando mi tocca entrare in un moderno ristorante di città, sento il gelido approccio al lucido fulgore delle plastiche e dei truciolati, all’illuminazione che è più metallo che luce, alle macchine da gioco che lampeggiano in immagini stereotipate. Se poi entro in una lussuosa pizzeria tutta linee e specchi, mi coglie pur nel calore di certi risvolti mediterranei da fine ottocento o di attuali colleganze postmoderne, un senso di estraneità, persino di diffidenza.  Sta il fatto che il clima più congeniale ai miei gusti non può essere che quello di una sana trattoria. Per quanto in certe zone, in seguito alla metamorfosi di alcuni quartieri, hanno dovuto soccombere e, lasciare spazio ad anonime paninoteche o Pub’s. E, se gli arredi non sono sempre intonati, il fattore che vi prevale sono gli odori, completamente diversi, il vecchio ragù, la pasta e patate, hanno lasciato spazio ad improbabili Hamburger accompagnati con patatine fritte spesso surgelate. Nella Trattoria, si incontravano gli altri, si facevano lunghe chiacchierate tra gli avventori, in alcuni casi, addirittura si finiva con la classica partita di scopa o di tressette. Oggi è stata una giornata speciale, percorrendo via Piedigrotta vengo attratto da una insegna con una anonima scritta “Vini e Cucina”, un anonimo ingresso, solcato il quale, ai nostri occhi si apre un universo, a riceverci Salvatore, il proprietario, un viso genuinamente simpatico, i clienti seduti agli altri tavoli, ci salutano, ne conto otto di tavoli tre dei quali occupati da turisti, le facce, soddisfatte, sorridenti, capiamo subito che si sta bene, la gente è rilassata, (io, torno indietro nel tempo e ricordo la vecchia cantina che frequentava mio nonno), ordiniamo, l’offerta del giorno; prevede diversi primi, antipasti e, di secondo quello che vogliamo, ci dice Salvatore, guardo l’orologio, mancano  venti minuti alle 16.00. sorrido, ci sediamo, bastano pochi minuti e Salvatore serve gli antipasti, si ferma al nostro tavolo e , ci racconta in pochi secondi gli ultimi avvenimenti della sua vita, dalla dieta alla clientela che frequenta il suo locale. Un vero e proprio luogo di sapere, perfetto per conoscere le novità del quartiere, Salvatore, 58 anni, rappresenta la quarta generazione, la sua Trattoria, ci confessa che è li da 109 anni, mi informo sui cambiamenti che ha subito il quartiere, si parla di affari, di situazioni economiche proprie e di terzi, allegre e poco allegre. Tutto torna, nelle Trattorie napoletane si discute di tutto, dal calcio alla politica, passando per la musica e gli artisti, l’immancabile ricordo del Re del calcio , Diego presente in qualsiasi discussione si affronti. Critiche e lamentele fanno parte del bagaglio dei discorsi. Davanti a uno spaghetto alle vongole fedelmente preparato alla vecchia maniera, senza fronzoli o addobbi, ma il profumo è inebriante, basta la prima forchettata, per comprendere la gioia che il palato sta provando, lo accompagno con un buon rosso preso dalla botte, aiuta a smorzare il pizzico di peperoncino che accompagna i pomodorini che ombreggiano di rosso la portata.  Ci si sente tutti primi ministri, presidenti, papi, teste coronate. Se poi si tratta di pallone, Dio ce ne scampi e liberi. Le frasi colorite non contano nelle nostre Trattorie, non sono le solite, sembrano anonime, ma una volta entrati; si viene travolti da una improvvisata fantasia. Se vuoi imparare il napoletano o qualche altra parlata locale, la migliore scuola che trovi è la Trattoria. E, Miriam  Tripaldi lo sa, lo ha capito da tempo, lei che vive da dieci anni negli States, nella fredda Chicago, dove insegna musicologia nella locale Università; sembra gioire quando il pittoresco e ricco linguaggio degli anziani si mescola a quello più slavato dei giovani, che peraltro, aggiunge termini nuovi del vivere quotidiano. Ne viene fuori una lingua tra antico e moderno, un napoletano immediato e robusto, che rende superato anche l’ultimo dizionario di grido. Nell’osteria si apprendono casi sociali cui venire incontro e che, stando a casa, non avresti saputo. Una volta l’osteria era più che altro appannaggio dei maschi, oggi , le frequentano anche molte donne, perché tanti steccati sono caduti. Specie in quelle tradizionali, dove trovi ancora l’allegria della chitarra di qualche vecchio “posteggiatore”, che intona antiche canzoni napoletane. A dire il vero una volta le Trattorie avevano uno scopo sociale ben preciso, erano veri e propri luoghi d’incontro che difendevano e, ancora oggi resistono, a tutela dei nostri valori, a fronte di una malintesa modernità che, vorrebbe eliminarle completamente. Intanto, Salvatore porta il babà fatto in casa, accompagnato dal classico caffè, rigorosamente fatto con la macchinetta napoletana. Arriva il momento del conto, il cuore non batte forte, come spesso accade altrove, e, anche se fosse, essere stato a pranzo da Salvatore, è come essere andato a teatro, con il vantaggio che, oltre alle battute, le risate, le storie, abbiamo mangiato divinamente bene. Grazie Miriam, io, napoletano doc, non conoscevo l’esistenza di questa meravigliosa realtà. Salutiamo Salvatore, non dopo aver fatto qualche foto irrituale.

Sergio Angrisano

Direttore Editoriale - giornalista televisivo e scrittore